di Paola Gabrielli
Osservo questa mia piccola valigia rossa, affamata di te, dei tuoi baci rubati tra le siepi di bosso giù in giardino, in attesa di essere riempita di quelle piccole grandi attenzioni che rendono viva la vita. E Il tempo si dilata all’infinito in questo attimo presente in cui i confini resi vivi dall’uomo, diventano sempre più labili, soffocati dalla neve che copiosa scende e ingoia avida, ogni cosa.
Così mi ricordo di quel giorno in cui, con infaticabile zelo ho scelto di seguirti nel tuo folle volo. Perché amarsi è un po’ così: è come camminare sul filo del rasoio tra un sì, un no, e un forse non so.
Mi avevi detto che la tua vita era stata rotta da salti a balzi tra ostacoli taglienti che ti avevano ferito l’anima, poco la carne, anche se ancora ne porti vivi i segni, e che non riuscivi a coglierne il senso. Io ti avevo indicato la via, come un faro lampeggiante nel mare in burrasca, ma tu non riuscivi a vederla, o forse solamente accettarla, per quel tuo cieco attaccamento alle piccole cose del passato: il tuo piccolo mondo antico, fatto di abitudini ancestrali che si ripetono uguali giorno dopo giorno, perché questo ti faceva stare bene; in apparenza. Ti sentivi sicuro lì, e questo ti bastava. Ma non a me, che mi struggevo nell’ombrosa lontananza che rendeva quasi fioca la mia esistenza, se non per quel tenue filo di speranza che ancora mi legava a te, che giorno e notte mi martellava nel petto, nel ricordo dell’estasi provata. Non erano più i battiti del mio cuore quelli che sentivo, ma il tuo corpo farsi carne nella mia carne, nel grido di piacere che ci rendeva vivi, tu un dio, ed io una dea.
Anche quel giorno riempii fino all’osso la mia piccola valigia rossa. Ci misi tutto il necessario per il nostro folle viaggio. Così amavi definirlo, forse perché ci eravamo imbevuti fin dall’infanzia di favole antiche e miti d’eroi per riviverci un po’ più da vicino quel passato che non volevamo lasciarci alle spalle. Potevo forse essere io la tua Angelica? E tu il mio paladino Orlando venuto a riprendermi?
Sazia di contenuti, lasciai cadere da ultimo nella valigia, quel fatale completino di pizzo rosso rubino che mi regalasti a Natale. Me lo avevi voluto comprare nonostante sapessi della mia innata pudicizia a mostrarmi provocante nei tuoi confronti, per quella costante verecondia che mi portavo fin dalla fanciullezza e che mi bloccava nei tuoi confronti. Non sembra vero? Eppure è così. Ci sono cose che avrei voluto dirti, ma che non sono riuscita a dirti. E così, sono rimasta lì, quel giorno, sospesa a guardare nel vuoto, sapendo che avrei dovuto agire, senza però riuscirci; e per questo ora mi percuoto, mi detesto e mi umilio fino all’osso.
Cosa avrei potuto ancora infilare nella valigia, di così necessario al nostro folle viaggio? Qualcosa che servisse al tuo infinito desiderio di sapere, dico io, perché scendendo dalle stelle, hai deciso di allontanartene per creare il tuo Destino, proprio come me. Qualcosa che ci richiamasse alla mente l’origine del Tutto e che ci svelasse l’arcano mistero che si cela dietro all’apparenza delle cose. Io l’ho afferrato. Tu invece mi rispondesti: “Chi lo sa?”.
Stesi sulle mie labbra un filo di rossetto rosso corallo e mi guardai allo specchio, poi lo nascosi nella valigia con l’intenzione di non mostrartelo. Così non avresti potuto incolparmi di pretesa vanità nei confronti di altri uomini che tu guardavi con sospetto e una punta di malcelata gelosia. Poi, presi la clessidra che si trovava sul comodino e la strofinai ben bene; la rivoltai ed espressi un desiderio: Tret gorgiaj om SEO PG.
Mi ritrovai così ad attenderti alla stazione di Verona, mentre i treni sui binari sfrecciavano veloci fischiando ad ogni loro passaggio, a rammentarci che non c’era poi molto più tempo per aspettare ancora. Seduta sulla panchina mangiavo a strappi l’ultima mela rossa della stagione, rendendola a poco a poco un corpo a brandelli. Osservai il torsolo sdrucciolo tra le mie mani e ne provai un po’ di pena, pensando a come tutta la nostra vita sia alla fine ridotta così, al limite dell’esistenza.
Ti vidi da lontano avvicinarti a passo spedito nella mia direzione, fiero nel tuo portamento. Eri smagrito, e sul volto apparivano più segnate le rughe d’espressione lasciate dal tempo. Ma i tuoi occhi, no, fiammeggiavano lucenti come in gioventù, pregni dell’ardore che ti portava a combattere. Ci abbracciamo fino a farci mancare il respiro per il troppo tempo che ci aveva visti lontani, piangendo io, un po’ di lacrime sulla tua vecchia maglietta nera che sapeva di buono. Come aveva potuto il Destino essere stato così avverso nei nostri confronti?
Tu sollevasti la mia valigia rossa e mi dicesti: “Partiamo per il nostro folle viaggio!”. Io chiusi gli occhi e presi la clessidra dalla tasca del cappotto. Poi la rivoltai. Improvvisamente le luci si spensero attorno a noi e non rimase ad accarezzarci l’anima che un mare fluttuante di emozioni colorate. Volavo leggera in cielo e tu mi tenevi la mano perché non scappassi via da te ancora. Ero un piccolo palloncino rosso, lieve e grazioso con un messaggio dentro di me da portare al mondo. E tu l’avevi sempre saputo, per questo avevi deciso di aiutarmi. Poi ti trasformasti in un’aquila e volasti sempre più su, tra le pareti scoscese dei monti che sempre avevi amato e un po’ sognato, allora come ora. Avevo paura di scoppiare e perderti per sempre. Sentivo il gelo ammosciarmi e rendermi sempre più debole, ma tu eri lì con me, ad incitarmi di non smettere di lottare, perché mi dicevi, non c’è vittoria finale senza perseverante ostinazione a raggiungere la meta. Ripensai a tutta la mia vita, a quello che avevo potuto fare e non fare, a quello che avevo deciso di modificare, perché a volte basta un attimo per perdersi e mai più riprendersi.
Un improvviso sparo lacerò l’aria e vidi schizzare del rosso sulla tua ala destra. Mi dicesti di continuare ad andare, mentre perdevi progressivamente quota, che ce l’avrei potuta fare. Come se il Destino non fosse già stato abbastanza crudele nei nostri confronti! Non lo volevo proprio fare, ma tu mi lasciasti andare, e io non potei che volare, con la gola in fiamme per le lacrime che non potevo versare.
Abbracciami amore mio
mentre il sole si specchia nella luna.
Un giorno quando le tue parole si fonderanno con le mie in un sussurro sospeso d’infiniti bagliori.
Domani
quando ci siederemo ad aspettare del buon vino e un pezzo di pane
e potrò finalmente accarezzare le tue rughe senza che il tempo ci possa mangiare.
Ogni setttimana una nuova “storia di valigie”!
Seguite il nostro podcast!
Un’azione nella cornice della mostra temporanea “Borse, trolley e valigie – Viaggio nella storia dei bagagli” (2021)