Archivio mensile:25 gennaio 2022

Il viaggio di mia madre dall’emigrazione all’immigrazione

baule_giacometti

di Luisa Giacometti

Mia madre, Noemi Giacometti (Favrin) nata il 24 settembre 1917 e morta il 6 marzo 1998, ha vissuto due grandi trasferimenti nella sua vita. Nata a Loria, in provincia di Treviso, si è trasferita a Borgo Valsugana, in provincia di Trento, all’età di 20 anni.  La famiglia, composta da 9 persone, si era spostata per motivi economici.  Anche se erano andati a vivere nella stessa nazione, la nuova regione in cui si trovavano aveva una cultura e una lingua diverse (seppur con qualche somiglianza). Si sono dovuti perciò adattare ad un nuovo ambiente, lontano da amici e familiari, e costruirsi una nuova vita.  Non si sono arresi e sono stati in grado di riprendere il filo delle loro esistenze da dove lo avevano lasciato.

Mia madre conobbe mio padre Valerio Giacometti a 35 anni, durante una riunione di famiglia.  Aveva avuto in precedenza alcune opportunità di sposarsi, ma non erano andate a buon fine.   All’epoca, una zitella era la babysitter dei suoi nipoti e agli ordini dei suoi fratelli.  Mio padre era in visita dal Canada e durante le poche settimane in Italia lì trovò in mia madre la compagna di vita che cercava. Mia madre, che aveva sempre desiderato una propria famiglia, accettò la sua proposta.

foto_giacomettiLa decisione fu presa e lei si preparò per il viaggio che l’aspettava, verso un nuovo paese.   Andò a Roma a prendere i documenti e lasciò tutto ciò che le era abituale, la famiglia e gli amici per una nuova avventura. Mise i suoi effetti personali nel baule da viaggio e salì sulla nave nel novembre del 1952.  La traversata fu penosa perché soffrì di mal di mare per tutto il tempo.

Alla fine arrivò ad Halifax e si diresse a Toronto in treno.  Ricordo che mi raccontava del suo viaggio in treno attraverso il Canada e di come il paese l´avesse colpita per la sua vastità e per i suoi paesaggi mutevoli. I miei genitori si sposarono il 13 dicembre 1952 e io nacqui nel gennaio 1954. Purtroppo, dopo 6 anni di matrimonio, mio padre morì per una malattia e mia madre rimase con me, una bambina di 5 anni, in un paese straniero senza famiglia e con i pochi amici che si era fatta nel corso degli anni.   Mia madre era però una donna forte e determinata ed è stata capace di costruire una vita significativa per entrambe nonostante le difficoltà incontrate.

Ho ancora il baule che mia madre ha portato in Canada e lo guardo spesso. Quel baule conteneva non solo i suoi beni più preziosi, ma anche i suoi sogni e le sue speranze.  Sogni per una vita migliore e la speranza per un futuro che le avrebbe dato la famiglia che aveva sempre desiderato e la possibilità di diventare la persona che poteva essere.

baule_giacometti_2Il baule ha ammaccature e graffi che ricordano molto il viaggio di vita di una persona.  Tuttavia, rimane ancora robusto e in grado di continuare il viaggio in un altro luogo, se necessario.   Ogni volta che lo apro, i ricordi e le aspirazioni di mia madre vengono fuori insieme alle storie che mi raccontava su ciò che aveva accuratamente impacchettato lì dentro.

Il baule rimane per me un oggetto di valore che rappresenta i ricordi di mia madre e la sua ferma certezza che le cose si sarebbero risolte per il meglio, indipendentemente dagli ostacoli che avrebbe potuto incontrare un paese straniero.

 

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La mia valigia – Ricordi di una bimba felice

Gianella_valigia

di Ilia Adriana Gianella

Ma dove abbiamo messo la valigia lo scorso anno? Forza bambini, cerchiamola tutti insieme!

Queste le parole che ogni anno il mio caro papà ci diceva, quando, a inizio settembre era ora di fare i preparativi per la nostra vacanza presso i nonni in un paesino nella provincia di Rovigo.

La gioia di preparare le nostre piccole cose e il desiderio del viaggio ci rendeva euforici, e così la nostra vacanza iniziava già qualche giorno prima.

Ecco, arrivava il giorno della partenza, vestitini puliti, lavati e pettinati e pronti per la nostra grande avventura, perché era proprio così che la sentivamo e il nostro cuore cantava.

Naturalmente in quel periodo quasi tutti viaggiavano in treno e noi non eravamo da meno.

Pertanto autobus fino alla stazione, treno fino a Verona, poi cambio e altro treno fino a Rovigo e per finire autobus per arrivare nel piccolo paese dei nonni.

Ma tutto questo era accettato e goduto fino in fondo grazie alla nostra infantile incoscienza, forse un po’ meno dai nostri genitori (cosa ne dite?).

La cosa più bella però era poter mangiare, sul piccolo tavolino del treno, i panini col salame, che mamma aveva preparato prima di partire, e l’aranciata. Per noi erano una delizia ed era come andare a fare un picnic (allora non erano molto frequenti….)

L’arrivo presso la casa dei nonni per noi bambini era sempre una grande gioia, perché finalmente ci sentivamo liberi di correre nei campi, di mangiare l’uva già matura direttamente dalla vigna, di tuffarci nel letto di foglie di mais che il nonno raccoglieva in un angolo del campo.

Inoltre il poter vedere gli animali – galline, tacchini, oche e qualche volta anche maialini – per noi era tutta un’avventura! Seguire la nonna che andava ogni giorno nel pollaio a raccogliere le uova e giocare con i cuginetti visti l’anno prima era sempre bellissimo.

Tuttavia questi giorni, che per noi parevano infiniti e luminosi, purtroppo, passavano in fretta e il ritorno a casa aveva un sapore alquanto malinconico. Ma fortunatamente la nostra valigia era sempre piena di cose buone in grado di tirarci su il morale, come la focaccia della nonna, le uova fresche e tanto altro.

Se ripenso oggi a quei profumi e a quei sapori, sembra che non sia passato un solo giorno, da quei viaggi.

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